Gli uomini, sia nel nostro tempo che dapprincipio, hanno cominciato
a filosofare a causa della meraviglia, poiché dapprincipio essi
si meravigliavano delle stranezze
che erano a portata di mano,
e in un secondo momento, a poco
a poco, procedendo nello stesso modo,
affrontarono maggiori difficoltà,
quali le affezioni della luna e del sole e delle stelle e l’origine dell’universo.
Aristotele, Metafisica, I, 2, 982b.
Se assumiamo il pensiero della Metafisica di Aristotele, è da sempre e in ogni condizione che ciascun essere umano è capace di filosofare. Nelle pieghe del ragionamento aristotelico sta l’idea di un esercizio del pensiero come filosofia già in quella che è stata a lungo identificata come l’età del mito. Sembra cadere la separazione fra le fantastiche favole antiche e l’età della ragione, se la parola-chiave delle origini della filosofia è meraviglia.
È intorno alla meraviglia come possibilità e spontaneità che è stato costruito, grazie a filosofi abituati a frequentare il problema dell’educazione, un possibile modello di “uso” molto precoce della filosofia. Servono un po’ di passaggi per trarne indicazioni pratiche, ma poi si riesce a immaginare una conversazione filosofica fra adulti e bambini. Ne dà concreta testimonianza una letteratura che cresce con il numero delle esperienze, fin dalle scuole dell’infanzia. Accanto al racconto di sperimentazioni in tante scuole italiane, le riflessioni filosofiche e pedagogiche supportano e accompagnano le pratiche. È necessario, per chi propone alla scuola di cimentarsi con gli “esperimenti mentali”, fare i conti con qualche scetticismo, che può nascere anche da una lettura di classici della psicopedagogia o della filosofia.
Non sembrano incoraggiati, molti insegnanti, dagli studi sulle filosofie infantili di Piaget, che approdavano a “una concezione deficitaria (deficit conception) del bambino, come se fosse un soggetto mancante” (1), essendo la capacità di articolazione logica e di pensiero astratto una conquista successiva.
Lettura diversa ci restituiscono i nostri filosofi rispetto a quella delle inevitabili semplificazioni manualistiche a proposito della teorizzazione delle età della storia di Gianbattista Vico nei “Principi della Scienza nova”. Carattere della prima età è “la sapienza poetica, che fu la prima scienza” degli antichi, uomini “di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie” (2). Gli dei dell’Olimpo sono la risposta alla meraviglia, in questo meritando la definizione di “fanciulli del nascente gener umano” (3). Sensi e fantasia prerogative dei primordi della civiltà, razionalità punto di arrivo dello sviluppo delle civiltà. Se il tempo delle favole per i popoli corrisponde a quello dell’assenza di razionalità nei bambini, come è proponibile pensare a una conversazione filosofica?
Ma nell’attribuire ai bambini le doti di “fantasia, imitazione e memoria”, Vico non limita, ma arricchisce – così interpreta Maurizio Iacono – la visione della capacità di pensiero creativo dei bambini. Infatti “la fantasia ha bisogno dell’imitazione e della memoria, [i bambini] non creano dal nulla, ma da qualcosa e questo qualcosa è dato da ciò che hanno visto, sentito, toccato. Un mondo nuovo, un mondo intermedio, fatto di fantasia, nasce dall’imitazione e dal ricordo di un altro mondo. Fare insieme utopie non è diverso” (4).
Così scrive Alfonso Maurizio Iacono, introducendo pagine che documentano “l’immaginario utopico e politico dell’infanzia”, in un volume che contiene i frutti di anni di conversazioni filosofiche di Luca Mori, in tante scuole italiane, con bambini fra i cinque e gli undici anni. Hanno disegnato o raccontato come avrebbero trasformato un’isola deserta, ciascuno a suo modo, ma con un progetto chiaro e condiviso: farne il migliore dei luoghi possibili. Fantasia e logica, indispensabili in quanto complementari, mettono in gioco i protagonisti di libere conversazioni in classe.
Da un altro libro – autori un filosofo e uno psicologo, che avanzano una proposta per “aiutare a pensare” –, traiamo un giudizio critico su quel che la nostra scuola non avrebbe saputo dare (“abbiamo dato tutto, tranne la capacità di affrontare i problemi”). Il fine dichiarato: “riuscire a trasmettere, sopra ogni altra cosa, l’eleganza irresistibile di un ragionamento ben fatto” (5). Pur in un impianto diverso, gli autori registrano la necessità di inserire nella cassetta degli attrezzi degli insegnanti una chiave d’accesso al pensiero critico per gli allievi.
Il pensiero critico è una meta, si conquista con l’autonomia. Lo spiegava già vent’anni fa Iacono, in un contesto storico diverso da quello attuale, che risulta più complesso e difficile per gli adulti. Uno dei problemi: gli adulti si confrontano con la pervasività di strumenti della tecnologia, usati in modo più “naturale” da bambini e ragazzi, efficaci ma difficili da governare senza quella conquista. Si poneva allora una domanda che oggi appare più urgente: “Chi ha detto che uscire dalla minorità è meglio che restarvi? Quali sono i vantaggi dell’uscita rispetto ai vantaggi dello stato di minorità?”. Secondo il filosofo dovremmo tener conto di una possibilità, che già Platone aveva descritto: “Uscire fa paura. Abbandonare il luogo sicuro familiare fa paura, come uscire dall’utero materno e trovarsi in un luogo estraneo, luminoso, sconosciuto”. Così “come gli uomini incatenati della caverna di Platone, non ci accorgiamo che essa è una prigione” (6). In una classe seconda media, alla domanda su come sarebbe possibile allo schiavo liberato convincere gli altri a seguirlo verso la luce, un ragazzo ha risposto: “dovrebbero essere loro a voler rompere le catene”. Ancora sospesa la risposta alla domanda sulla possibilità che anche per noi e loro ci siano catene e, se sì, a quella successiva: come ci possiamo liberare?
Note
1 - Cfr. L. Mori, Filosofia degli esperimenti mentali. Esplorare i confini del pensabile con bambini e ragazzi, in “Journal of Philosophy” – ISSN 2420-9775 N. II, 6, 2016 – Children for Philosophy”, p. 133.
2 - G. B. Vico, Principi di scienza nova, della sapienza poetica, Libro secondo, Einaudi, Torino 1976, p. 138.
3 - Ibidem, p. 139.
4 - L. Mori, Utopie di bambini. Il mondo rifatto dall’infanzia, Edizioni ETS, Pisa 2017, p. 8.
5 - C. Legrenzi, A. Massarenti, La buona logica. Imparare a pensare, Raffaello Cortina editore, Milano 2015, pp. 14-15.
6 - A. M. Iacono, Del sospetto, della paura, della meraviglia, del guardare con altri occhi, Feltrinelli, Milano 2000, passim.
È intorno alla meraviglia come possibilità e spontaneità che è stato costruito, grazie a filosofi abituati a frequentare il problema dell’educazione, un possibile modello di “uso” molto precoce della filosofia. Servono un po’ di passaggi per trarne indicazioni pratiche, ma poi si riesce a immaginare una conversazione filosofica fra adulti e bambini. Ne dà concreta testimonianza una letteratura che cresce con il numero delle esperienze, fin dalle scuole dell’infanzia. Accanto al racconto di sperimentazioni in tante scuole italiane, le riflessioni filosofiche e pedagogiche supportano e accompagnano le pratiche. È necessario, per chi propone alla scuola di cimentarsi con gli “esperimenti mentali”, fare i conti con qualche scetticismo, che può nascere anche da una lettura di classici della psicopedagogia o della filosofia.
Non sembrano incoraggiati, molti insegnanti, dagli studi sulle filosofie infantili di Piaget, che approdavano a “una concezione deficitaria (deficit conception) del bambino, come se fosse un soggetto mancante” (1), essendo la capacità di articolazione logica e di pensiero astratto una conquista successiva.
Lettura diversa ci restituiscono i nostri filosofi rispetto a quella delle inevitabili semplificazioni manualistiche a proposito della teorizzazione delle età della storia di Gianbattista Vico nei “Principi della Scienza nova”. Carattere della prima età è “la sapienza poetica, che fu la prima scienza” degli antichi, uomini “di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie” (2). Gli dei dell’Olimpo sono la risposta alla meraviglia, in questo meritando la definizione di “fanciulli del nascente gener umano” (3). Sensi e fantasia prerogative dei primordi della civiltà, razionalità punto di arrivo dello sviluppo delle civiltà. Se il tempo delle favole per i popoli corrisponde a quello dell’assenza di razionalità nei bambini, come è proponibile pensare a una conversazione filosofica?
Ma nell’attribuire ai bambini le doti di “fantasia, imitazione e memoria”, Vico non limita, ma arricchisce – così interpreta Maurizio Iacono – la visione della capacità di pensiero creativo dei bambini. Infatti “la fantasia ha bisogno dell’imitazione e della memoria, [i bambini] non creano dal nulla, ma da qualcosa e questo qualcosa è dato da ciò che hanno visto, sentito, toccato. Un mondo nuovo, un mondo intermedio, fatto di fantasia, nasce dall’imitazione e dal ricordo di un altro mondo. Fare insieme utopie non è diverso” (4).
Così scrive Alfonso Maurizio Iacono, introducendo pagine che documentano “l’immaginario utopico e politico dell’infanzia”, in un volume che contiene i frutti di anni di conversazioni filosofiche di Luca Mori, in tante scuole italiane, con bambini fra i cinque e gli undici anni. Hanno disegnato o raccontato come avrebbero trasformato un’isola deserta, ciascuno a suo modo, ma con un progetto chiaro e condiviso: farne il migliore dei luoghi possibili. Fantasia e logica, indispensabili in quanto complementari, mettono in gioco i protagonisti di libere conversazioni in classe.
Da un altro libro – autori un filosofo e uno psicologo, che avanzano una proposta per “aiutare a pensare” –, traiamo un giudizio critico su quel che la nostra scuola non avrebbe saputo dare (“abbiamo dato tutto, tranne la capacità di affrontare i problemi”). Il fine dichiarato: “riuscire a trasmettere, sopra ogni altra cosa, l’eleganza irresistibile di un ragionamento ben fatto” (5). Pur in un impianto diverso, gli autori registrano la necessità di inserire nella cassetta degli attrezzi degli insegnanti una chiave d’accesso al pensiero critico per gli allievi.
Il pensiero critico è una meta, si conquista con l’autonomia. Lo spiegava già vent’anni fa Iacono, in un contesto storico diverso da quello attuale, che risulta più complesso e difficile per gli adulti. Uno dei problemi: gli adulti si confrontano con la pervasività di strumenti della tecnologia, usati in modo più “naturale” da bambini e ragazzi, efficaci ma difficili da governare senza quella conquista. Si poneva allora una domanda che oggi appare più urgente: “Chi ha detto che uscire dalla minorità è meglio che restarvi? Quali sono i vantaggi dell’uscita rispetto ai vantaggi dello stato di minorità?”. Secondo il filosofo dovremmo tener conto di una possibilità, che già Platone aveva descritto: “Uscire fa paura. Abbandonare il luogo sicuro familiare fa paura, come uscire dall’utero materno e trovarsi in un luogo estraneo, luminoso, sconosciuto”. Così “come gli uomini incatenati della caverna di Platone, non ci accorgiamo che essa è una prigione” (6). In una classe seconda media, alla domanda su come sarebbe possibile allo schiavo liberato convincere gli altri a seguirlo verso la luce, un ragazzo ha risposto: “dovrebbero essere loro a voler rompere le catene”. Ancora sospesa la risposta alla domanda sulla possibilità che anche per noi e loro ci siano catene e, se sì, a quella successiva: come ci possiamo liberare?
Note
1 - Cfr. L. Mori, Filosofia degli esperimenti mentali. Esplorare i confini del pensabile con bambini e ragazzi, in “Journal of Philosophy” – ISSN 2420-9775 N. II, 6, 2016 – Children for Philosophy”, p. 133.
2 - G. B. Vico, Principi di scienza nova, della sapienza poetica, Libro secondo, Einaudi, Torino 1976, p. 138.
3 - Ibidem, p. 139.
4 - L. Mori, Utopie di bambini. Il mondo rifatto dall’infanzia, Edizioni ETS, Pisa 2017, p. 8.
5 - C. Legrenzi, A. Massarenti, La buona logica. Imparare a pensare, Raffaello Cortina editore, Milano 2015, pp. 14-15.
6 - A. M. Iacono, Del sospetto, della paura, della meraviglia, del guardare con altri occhi, Feltrinelli, Milano 2000, passim.